Radici socio-culturali della violenza di genere
- Dott.ssa Daniela Orlando
- 4 ott 2016
- Tempo di lettura: 3 min

Con il termine violenza di genere si fa riferimento alla violenza agita dal genere maschile sul genere femminile e definita dall’ONU nel 1993 una forma di “violazione dei Diritti Umani”. Come ogni fenomeno, anche quello della violenza di genere ha una sua storia che può meglio aiutare a comprenderne l’evoluzione. Solo negli ultimi anni gli innumerevoli casi di abusi sulle donne hanno trovato voce e coraggio, portando alla luce realtà nascoste e richiamando sempre più l’attenzione collettiva, pur trattandosi di un fenomeno antico e insidioso, prodotto dell’arcaica cultura patriarcale non ancora tramontata. Già ai tempi dei babilonesi si legittimava con il Codice di Hammurabi del 1700 a.c. la concezione della donna quale proprietà: “ La figlia nubile è di proprietà del padre, la moglie è proprietà del marito”. Per tanto in caso di reato commesso nei confronti di una donna, al processo si presentava il padre come vittima per un danno alla sua proprietà. Per di più se una donna sposata veniva stuprata, doveva essere uccisa, perché non poteva più garantire la certezza della prole. Stessa sorte era prevista nell’Antica Cultura ebraica (1000 anni a.c.) per la quale “La donna stuprata è ormai contaminata, quindi veniva sempre uccisa”o ancora: “Lo stupro su una donna è un reato contro la proprietà commesso da un uomo nei confronti di un altro uomo”. Una donna dunque concepita come merce di scambio tra uomini, oggetto del mercato del matrimonio, nonché proprietà custodita. Addirittura i codici napoleonici del 1804 prevedevano la Certificazione Maritale “donna proprietà del marito” e fino a pochi decenni fa, precisamente sino al 1981, il nostro codice penale prevedeva il delitto d’onore. La connotazione gerarchica che ne deriva, insita nella relazione uomo-donna, è per molti la causa primaria della violenza maschile sul corpo femminile. Attualmente, le numerose battaglie condotte negli anni dalle donne, hanno portato all’emanazione di leggi volte al riconoscimento di diritti e di divieti. E’ pur vero che, da un punto di vista formale, l’emancipazione femminile è stata raggiunta, poiché le donne oggi lavorano, studiano. Sorge allora spontaneo chiedersi quale cultura fa ancora oggi da sfondo alla violenza maschile sulle donne.
Nell'attuale contesto storico, caratterizzato da una cultura e politica dell’immagine, la donna continua ad essere vista come un oggetto, cancellando la soggettività femminile, certo non senza eccezioni. La TV non fa solo informazione, non è solo il riflesso della cultura dominante, ma fa formazione e impone modelli comportamentali che condizionano fortemente i “consumatori”, soprattutto gli adolescenti, giovani donne e giovani uomini, modelli che pubblicizzano donne di contorno, ornamentali, pronte a subire la valutazione da parte degli uomini. I corpi delle donne, diventano corpi disponibili ed è questo che rinsalda negli uomini la convinzione che proprio quei corpi siano sempre a loro disposizione: in famiglia dove la disponibilità del corpo delle donne è sottointesa e prevista da parte di mariti, conviventi, fidanzati, disponibilità che arriva fino alla violenza fisica e all’omicidio delle loro mogli, compagne o fidanzate che siano; il corpo della donna è disponibile ai padri che stuprano, accoltellano e talvolta uccidono la propria figlia; o addirittura ai figli che maltrattano le loro madri anziane ed a un branco di ragazzi di 13-14 anni. Fortunatamente c’è un forte desiderio di dissenso femminile, che utilizza lo strumento della solidarietà femminile, della relazione tra donne, dell’essere in prima linea, coniugando politica di genere con professionalità e competenze specifiche, per abbattere, in modo nonviolento, la legge dei padri e per affermare una cultura che renda certo il diritto all’inviolabilità del corpo femminile.
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